La brand equity, o valore della marca, esprime la forza di una marca sul mercato. Può essere definita sia da un punto di vista finanziario, e in tal caso si pone l’accento sul valore del brand in quanto asset del patrimonio aziendale (come brevetti e marchi); oppure da un punto di vista più orientato al marketing, e in tal caso può essere definita come il patrimonio d’immagine che una marca è riuscita a costruirsi nel tempo, frutto dell’aggregazione di atteggiamenti e comportamenti dei consumatori, dei canali distributivi e dei diversi influencer del processo d’acquisto che rafforzano i profitti futuri e il cash flow di lungo periodo (Srivastava e Shocker, 1991).

La letteratura è concorde nel ritenere che il valore del brand nella prospettiva del consumatore (customer-based brand equity) possa essere determinato e misurato in base agli effetti di marketing attribuibili unicamente al brand stesso; più nel dettaglio, esso corrisponde al capitale accumulato dalla marca attraverso tutte le passate operazioni e investimenti di marketing; nella nota definizione di brand equity proposta da Aaker il valore della marca esprime “l’insieme delle risorse (o dei costi) legate al nome e al simbolo della marca che si aggiungono al (o devono essere sottratti dal) valore che un bene o servizio fornisce ai clienti di un’impresa e alla stessa impresa”.

Customer-based brand equity (CBBE) e financial-based brand equity (FBBE)

Il concetto di brand equity ha dunque acquisito nel tempo una duplice valenza, riferendosi tanto al valore finanziario incrementale di un prodotto dovuto al brand, quanto all’effetto che la conoscenza del brand determina sulla risposta del consumatore alle iniziative di marketing del brand. A queste diverse accezioni corrispondono differenti modalità di misurazione. Nel primo caso ci si avvale della Customer-based brand equity (CBBE), nel secondo della Financial-based brand equity (FBBE).

I sistemi di valutazione del brand appartenenti alla categoria CBBE si basano su ricerche empiriche che consentono di cogliere la percezione che i consumatori hanno del brand e, in particolar modo, il loro comportamento conseguente ai cambiamenti del marketing mix con cui i prodotti branded vengono proposti sul mercato. I sistemi di FBBE, invece, mirano ad indagare il flusso di cassa incrementale generato dai prodotti branded; in concreto, la FBBE esprime il valore monetario del brand ed è normalmente utilizzata dalle aziende quotate in borsa per le valutazioni del rendimento finanziario nel breve periodo.

Il concetto di brand equity, tuttavia, è più frequentemente riferito alla prima modalità di valutazione che non alla seconda e, dunque, il termine è oggi usato per indicare il potenziale economico, più che il valore monetario. Si ritiene corretto affermare che in termini monetari si valuta il marchio, che è un bene intangibile alienabile. La valutazione monetaria del marchio non può però prescindere dalla valutazione delle dimensioni della marca e della brand equity.

Si possono utilizzare diversi indicatori di sintesi per misurare la brand equity: innanzitutto, la relazione fra quota di mercato relativa e prezzo relativo dei suoi prodotti, da cui emerge che marche più forti hanno in genere quote di mercato più elevate rispetto ai concorrenti diretti e riescono a spuntare prezzi superiori (premium price). E poi si può misurare il ricordo spontaneo della marca da parte dei consumatori (v. brand awareness); infine, si valuta quanto la marca è in grado di trattenere i clienti acquisiti (tasso di retention) e di attrarne di nuovi (tasso di penetrazione).

I principali modelli di analisi della customer-based brand equity

Uno dei principali modelli di valutazione della marca dalla prospettiva CBBE è il DAD framework che individua nella Diffusione, nell’ Affidabilità e nella Differenziazione i fondamentali fattori di successo della marca. Più nel dettaglio:

– La diffusione è intesa sia come conoscenza del brand da parte dei consumatori (diffusione cognitiva), sia come disponibilità fisica dei prodotti nei punti vendita (diffusione fisica). Essa, pertanto, è sostanzialmente determinata dalle leve del marketing mix della promozione (intesa come comunicazione di marketing) e della distribuzione. I principali parametri che vengono utilizzati per l’analisi della diffusione cognitiva sono la conoscenza, il ricordo, la salienza e la rilevanza, mentre per valutare la diffusione fisica si possono prendere in considerazione i dati di sell in e sell out o la quota di mercato.

– L’affidabilità si fonda sulla capacità della marca di rispondere alle attese dei consumatori attraverso le sue qualità intrinseche. L’affidabilità, pertanto, è sostanzialmente determinata dalle politiche di prodotto e di prezzo. Tra i principali strumenti di analisi per valutare l’affidabilità ci sono le mappe di posizionamento del prodotto.

– La differenziazione, infine, attiene dalle caratteristiche distintive del brand e dalla sua capacità di costruire un rapporto fiduciario con il pubblico obiettivo. La differenziazione del brand rispetto alla concorrenza è il risultato dei primi due fattori appena citati; in altri termini, un brand ottiene un grado soddisfacente di differenziazione solo dopo aver implementato corrette politiche di comunicazione e distribuzione (diffusione) aver assicurato un sistema coerente e permanente di qualità e valori (affidabilità).

Fra i modelli di analisi più noti e accreditati in letteratura vi sono poi quelli proposti da Aaker (1991) e Keller (1993).

Secondo Aaker, la brand equity nella prospettiva del consumatore si fonda su cinque componenti fra loro correlate: la fedeltà di marca, che è una misura della propensione al riacquisto di una marca da parte della clientela (v. brand loyalty); la notorietà di marca, che identifica il grado di conoscenza della marca da parte del pubblico obiettivo (v. brand awareness); la qualità percepita, che viene definita dall’autore come “la percezione da parte del consumatore della qualità globale o della superiorità del prodotto o del servizio rispetto all’uso cui è destinato, tenendo conto anche delle alternative possibili”; le associazioni di marca, invece, sono definite come “tutto ciò che nella mente del consumatore risulta collegato alla marca”; la proprietà intellettuale, infine è intesa come insieme dei beni immateriali di cui l’impresa è proprietaria: brevetti, marchi registrati, relazioni di canale, ecc.

Secondo Keller, il fattore strategico fondamentale da prendere in considerazione per lo sviluppo della brand equity è rappresentato dalla conoscenza che i consumatori hanno della marca (brand knowledge). Quest’ultima, che può essere concepita come la presenza nella memoria del consumatore di un nodo (il brand) e di una molteplicità di associazioni ad esso collegate, si fonda su due dimensioni: la consapevolezza di marca (brand awareness), che esprime la capacità della marca di essere riconosciuta e richiamata alla memoria dal consumatore, e l’immagine di marca (brand image), che sintetizza le percezioni sulla marca presenti nella memoria dei consumatori e che si riflettono in associazioni di varia natura alla marca stessa. Keller definisce tre tipi di associazioni alla marca, con crescente livello di astrazione: gli attributi del sistema d’offerta, che possono essere relativi al prodotto (ad esempio caratteristiche tecniche o di design) o non relativi al prodotto (ad esempio, caratteristiche del brand legate all’immagine dell’utilizzatore o ad occasioni d’uso); i benefici percepiti dal consumatore, che sono riconducibili a ciò che il prodotto offre al consumatore (ad esempio, i benefici relativi alle sensazioni ed emozioni provate dal consumatore quando acquista e usa il prodotto con brand); l’atteggiamento generale che il consumatore ha maturato nei confronti della marca (al brand di successo è generalmente associata un’immagine favorevole, forte e unica).

In letteratura sono rintracciabili anche altri modelli di analisi della brand equity. Fra i più interessanti, vi è quello proposto da Risitano (2004), poi ripreso da Cherubini (2008) e da altri autori, secondo il quale il valore di marca percepito dal consumatore si fonda su tre diverse aree di valore: l’area cognitiva, l’area esperienziale, l’area fiduciaria; ciascuna area, a sua volta, esprime due distinte basi di valore attraverso le quali è possibile misurare le performance relazionali della marca. In sintesi:

– L’area cognitiva (brand knowledge area) del valore di marca si fonda sulla capacità della marca di identificare e differenziare il sistema d’offerta dell’impresa nella percezione del consumatore nella fase che precede l’acquisto; le basi del valore proprie di tale area sono la consapevolezza di marca (brand awareness) e l’immagine di marca (brand image).

– L’area esperenziale (brand experience area) si fonda sulla capacità della marca di creare un’esperienza di valore superiore percepito dai clienti nella fase dell’acquisto e della fruizione del sistema d’offerta; le basi del valore proprie di tale area sono l’atteggiamento maturato nei confronti della marca (brand attitude) e l’affinità alla marca stessa (brand affinity).

– L’area fiduciaria (brand trust area), infine, si fonda sulla capacità della impresa di gestire con profitto la fiducia dei clienti accumulata nelle fasi precedenti, al fine di accrescere il valore di marca creato per il cliente e stimolare nuove opzioni di sviluppo della relazione. Le due basi del valore fiduciario di marca sono la soddisfazione del consumatore (customer satisfaction) e la fedeltà alla marca (brand loyalty).

 

brand equity

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi