Budget pubblicitario: indica le risorse economiche allocate da un’impresa per la realizzazione di una campagna pubblicitaria.

Un’impresa che ha più prodotti sul mercato normalmente decide all’inizio dell’anno operativo su quali prodotti investire in pubblicità e come ripartire, fra questi prodotti, le risorse finanziarie destinate alla pubblicità. Viene definita budget setting la procedura di stima della soglia ottimale di investimento per uno specifico intervallo temporale, in funzione degli obiettivi che l’azienda si propone di conseguire (Vedi Media strategy).

La decisione di un’impresa su quanto stanziare in pubblicità è influenzata da diversi fattori: il tipo di prodotto pubblicizzato, la dimensione geografica del mercato, il volume di vendite dell’impresa rispetto a quello dei concorrenti.

Metodi per la definizione del budget pubblicitario

La definizione del budget pubblicitario rappresenta uno dei momenti decisionali più delicati per un’azienda. In letteratura esistono diverse tecniche che possono essere utilizzate, alternativamente o congiuntamente, per arrivare a una stima del budget ottimale. Le metodologie più adottate e diffuse sono tre:

1. Metodo dell’obiettivo da conseguire. Dopo aver fissato gli obiettivi della campagna, l’impresa deve individuare le operazioni che devono essere svolte per raggiungerli. Si calcolano i costi delle singole attività e poi si sommano per definire lo stanziamento totale.

Il suo limite è la difficoltà di applicazione. Pur se corretto, almeno da un punto di vista concettuale, questo metodo si rivela spesso inattuabile in quanto, in molti casi, è difficile stimare con precisione il livello di sforzo indispensabile per conseguire gli obiettivi; parliamo di obiettivi di comunicazione che tipicamente vengono espressi in termini di notorietà, di immagine, di atteggiamenti o di comportamenti (vedi Media strategy).

È difficile decidere quanto stanziare in pubblicità quando la campagna pubblicitaria si avvale dei mezzi tradizionali, perché risulta complicato misurare con precisione gli effetti potenziali della pubblicità. Se i canali digitali generano risultati concreti e puntuali, per i media tradizionali, i risultati si valutano, in genere, attraverso focus group che permettono di rilevare i miglioramenti del ricordo del marchio e dell’intenzione di acquisto). Si rimanda alla voce Media per approfondimenti.

2. Metodo della percentuale sulle vendite. L’impresa decide di ancorare la spesa pubblicitaria a determinate percentuali delle vendite (passate o previste). In pratica, per determinare il budget pubblicitario l’impresa moltiplica il suo fatturato nel passato, più un fattore per l’aumento o la diminuzione pianificati del fatturato, per una percentuale standard basata su quanto spende tradizionalmente in pubblicità. Questa percentuale fissa sulle vendite passate può, inoltre, variare a seconda del contesto: si può applicare, ad esempio, una percentuale fissa sulle vendite passate e, in seguito, la si può aumentare per supportare il lancio di un nuovo prodotto o per contrastare un’iniziativa della concorrenza.

Si tratta, pertanto, di un metodo semplice e flessibile, il cui principale vantaggio consiste nel legare la spesa pubblicitaria all’andamento dei profitti aziendali. E questo è anche il suo limite, in quanto assume le vendite come causa della pubblicità, anziché come effetto di questa. A fronte di un calo delle vendite, ad esempio, si dovrebbe ridurre il budget con il rischio così di abbassare ulteriormente le vendite.

3. Metodo della parità competitiva. Il budget viene deciso in funzione dell’obiettivo di eguagliare gli stanziamenti dei principali concorrenti, ovvero in ragione dell’obiettivo di quota di mercato che si vuole conquistare o mantenere.

Si stabilisce una relazione fra la quota di voce (share of voice o SOV) di una determinata marca e la sua quota di mercato (share of market o SOM). La share of voice è data dal rapporto fra gli investimenti in comunicazione di quella determinata marca e gli investimenti complessivi del settore merceologico di appartenenza.

Il presupposto su cui si fonda questo metodo è che le quote di mercato ottenute dai brand sono direttamente determinate della quota di voce (share of voice) che questi comprano sul mercato della comunicazione. Se, per esempio, un prodotto vuole mantenere una quota di mercato del 10% deve spendere in comunicazione almeno il 10% di quanto si spende in quel mercato. Se poi deve conquistare dal nulla il 10% di quota di mercato deve, mediamente, appropriarsi almeno del 20% della quota di voce.

Sebbene questa “equazione” non sia mai stata rigorosamente verificata (in effetti non esiste una relazione sistematica fra quota di mercato e quota di pubblicità, in quanto il rapporto fra le due quote varia da un utente all’altro, da un settore all’altro, dal grado di competitività presente nel settore ecc.), essa contiene una parte di verità e alcune osservazioni di buon senso.

Rimane comunque il fatto che la reale efficacia della quota di pubblicità non può essere valutata solamente in termini puramente quantitativi, oltre questi, come è ovvio, sono determinanti: la qualità della creatività, la scelta dei mezzi, la coerenza della strategia pubblicitaria ecc.

L’indice di aggressività della marca

Il rapporto fra share of voice e share of market costituisce un indicatore di sintesi comunemente impiegato per valutare la posizione di una marca rispetto ai concorrenti sulla base della relazione tra investimenti pubblicitari e quote di mercato. Tale indicatore, noto come indice di aggressività della marca, può aiutare l’impresa a definire un budget media ideale in funzione della strategia competitiva che intende perseguire. Si possono individuare tre strategie competitive diverse:

– se l’indice è superiore a uno (SOS > SOM) siamo in presenza di una strategia orientata all’attacco, con forti investimenti in comunicazione e brand in crescita come quota di mercato.

– se l’indice è uguale a uno (SOS = SOM) siamo in presenza di una strategia di mero mantenimento della posizione già acquisita.

– se l’indice è minore di uno (SOS < SOM) siamo di fronte a una strategia volta a realizzare un disinvestimento, un classico obiettivo in fase di declino (v. ciclo di vita del prodotto), con marche consolidate o mature su cui l’azienda sta disinvestendo, perché destinate a uscire presto dal mercato o perché sostenute con altri strumenti di marketing, ad esempio le promozioni.

 

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